Le dodicimila pelli dorate di Zoroastro

Le sacre scritture iraniche conosciute col nome di “AVESTA”, il “Fondamentale”, raccolgono le domande poste dal profeta Zoroastro a Dio, in cerca di risposte sulle verità supreme. Tramandata per secoli oralmente, la Parola divina raccolta nell’Avesta avrebbe avuto una prima stesura in epoca achemenide, durante i regni dei grandi re Dario, Serse e Artaserse, molto devoti al culto monoteista zoroastriano o cosidetto mazdeiano, dal nome del Dio AhuraMazda.
Dario avrebbe ordinato la conservazione di due copie dell’Avesta, una delle quali da custodire nella città di Persepoli. Gli storici successivi, tra cui Ferdowsi, nel suo Libro dei Re, e Al-Masudi, l’Erodoto degli Arabi, ci parlano delle dodicimila pelli di bue in inchiostro d’oro, su cui era stata conservata la raccolta zoroastriana, e dei suoi milleduecento capitoli.
L’alfabeto su cui erano state incise le pelli non poteva essere il cuneiforme, inutilizzabile per tracciare segni con inchiostro su pelli bovine. E’ ipotesi verosimile quindi che esistesse un antico sistema di scrittura, antecedente al conosciuto pahlavi del I secolo a.C..
L’Avesta andò però perduta nell’incendio della città di Persepoli ordinato nel 334 a.C. da Alessandro Magno il Macedone, durante la sua famosa e vittoriosa campagna in Oriente. Quanto rimasto fu poi raccolto, riordinato, tradotto ed esteso a partire dall’epoca sassanide. Si stima che ciò che è giunto a noi oggi è un quarto circa dell’Avesta originale.