La città di Isfahan, definita da Robert Byron nel suo bel libro “La via per l’Oxiana” come “l’altra metà del mondo”, fu da sempre luogo di cultura ed ebbe relazioni con “l’altra metà del mondo” fin dai tempi dei Parsi e dei Sassanidi (II e III sec. d.C.).
Nel periodo islamico visse però un fasto ed uno sviluppo speciali, sopratutto durante le dinastie dei Selgiuchidi (XI e XII secolo), dei Buwayhidi (X – XI secolo) e dei Safavidi (XVI, XVII, XVIII secolo), quando, nel ruolo di centro politico più importante, con una notevole prosperità economica, artistica e sociale, fu uno dei maggiori centri al mondo di attrazione e scambio culturale.
In particolare durante il regno safavide di Shah Abbas I, detto il Grande (1587-1629), a Isfahan, divenuta capitale, ci fu un andirivieni di rappresentanti di vari paesi del mondo, specialmente d’Europa, con una vistosa presenza di viaggiatori e ambasciatori delle Repubbliche italiane, i cui riflessi furono visibili in accordi culturali ed economici, in scritti, documenti ed opere d’arte dell’epoca.
Sebbene le relazioni tra Isfahan e la Repubblica di Venezia avessero al tempo di Shah Abbas I, un aspetto sopratutto commerciale, molte delle produzioni artigianali oggetto di scambi erano legate fortemente alla cultura e alle tradizioni dei due paesi. A Isfahan e Kashan vi erano i maggiori centri di produzione e lavorazione di tessuti, in particolare raso e seta, sontuosamente decorati e dorati.
Shah Abbas inviò alcuni emissari all’estero e in particolare a Venezia proprio per invitare in Persia esperti che s’interessassero alla raffinata arte persiana e potessero con destrezza produrre tessuti. Inviò tra gli altri un famoso commerciante armeno, Khaje Safar, per ritirare prodotti comprati a Venezia e vendere in esclusiva i suoi tessuti di seta.
In quel periodo si intensificò lo scambio di lettere e documenti tra governanti italiani e Shah Abbas I: oltre al Doge di Venezia, il Papa, il Cardinal Federico Borromeo e il Granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici.
Preceduto da due veneziani, Giosafat Barbaro e Ambrogio Contarini, che nel 1400 fecero visita al re Uzunhassan a Isfahan, il viaggiatore e ambasciatore Pietro della Valle visitò la città di Isfahan al tempo dei Safavidi e trasmise numerose informazioni e osservazioni di grande interesse sulla politica, la società e specialmente la cultura locale.
Della Valle scrive di Isfahan “Sphahan, che è città grande, bella e popolata, e tale insomma che infin’adesso, in tutto il Levante, non ho veduto meglio: eccettuando Costantinopoli, la quale però Sphahan in molte e molte cose non solo agguaglia, ma al mio parere anche supera”.
Della Piazza dell’Imam scrive poi ” la quale unione di architettura, così grande, comparisce tanto bene all’occhio che quantunque le case di Piazza Navona siano fabbriche più alte e più ricche all’usanza nostra, nondimeno, per la discordanza loro, e per altri particolari, io ardisco di anteporlo alla stessa piazza Navona…. Credo che sarà la più bella vista del mondo”.
Le relazioni proseguirono anche dopo la morte di Abbas I e numerose testimonianze ci giunsero dall’artista e viaggiatore Giovanni Francesco Gemelli Careri, che partecipò alla cerimonia di incoronazione dello Shah Sultan Hussein e ci lasciò vari disegni, pitture e scritti dell’epoca.
Anche i rapporti tra la città di Isfahan e la Santa Sede si mantennero buoni, grazie all’ambiente pacifico e multi religioso della città. Nel 1864 papa PioIX donò una medaglia di onorificenza di Roma all’Imam di Isfahan (Seyed Mohammad Khatun Abadi) per la protezione della comunità cattolico armena di Jalfa.
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